Il contratto

La casa era quella. A 2 piani, elegante, con ingresso privato ed un piccolo giardinetto curato. Il quartiere era uno dei più rinomati della città, sicuramente si trattava di una famiglia agiata. Il vecchio trasse di tasca il suo inseparabile orologio. Le 21 erano passate da poco. Da una delle finestre che davano sulla strada si udivano voci e risate. C’erano alcune macchine parcheggiate lì vicino, era molto probabile che i signori avessero ospiti a cena. Del resto, non era una notte qualunque.

“Coraggio, è l’ultimo per oggi. Poi potrò tornarmene a casa.”
La voce si perse nel silenzio della strada buia, interrotto solo dal ritmico suono della neve che cadeva fitta. Il vecchio strinse il portadocumenti sotto la mano sinistra, poi alzò il gancio del cancelletto ed entrò nel giardino. Avanzò sino alla porta, dove si tolse il cappello grigio, e pulì con il guanto le spalle del cappotto. Poi allungò la mano verso il campanello. Lo scoppio di una fragorosa risata dalla finestra lì vicino lo bloccò. Sospirò leggermente, poi suonò. Le voci dalla cucina si interruppero brevemente, poi un rumore di sedia spostata. Si accese la luce dell’ingresso, e la porta si aprì. Una giovane ragazza sorridente gli si parò davanti.
“Ciao amore, finalmente sei…”
La frase si interruppe a metà, e il sorriso le sparì dal viso, sostituito da un’espressione perplessa. Era evidente che non era la persona che si aspettava.
“Buonasera. Desidera?”
Il vecchio sorrise dolcemente.
“Buonasera signorina. Mi scuso innanzitutto per l’ora, spero di non arrecare eccessivo disturbo. In circostanze differenti, non mi sarei mai permesso. Ma si tratta di una questione piuttosto importante. E’ in casa il signor Karl?”.
La voce pacata, unita ai modi gentili e al portamento elegante, rassicurarono la ragazza, sorpresa dalla visita dello sconosciuto. Appoggiandosi allo stipite della porta, gli sorrise brevemente.
“Sì, mio padre è in casa, lo chiamo subito. Lei è un suo amico?”.
Il vecchio scosse leggermente la testa.
“No, signorina. Un vecchio conoscente. Può dire a suo padre che sono il signor Smith. Il ragioniere Smith.”
La ragazza fece per girarsi, poi notò la neve che scendeva copiosa.
“Venga dentro, si accomodi. Io intanto vado a chiamare papà.”
Il vecchio fece un piccolo inchino.
“La ringrazio infinitamente, signorina. Lei è molto gentile.”
Il vecchio entrò in casa, fermandosi a pochi passi dall’ingresso. La ragazza chiuse la porta dietro di lui.
“Vuole darmi il cappotto?”
Il vecchio le sorrise di nuovo.
“No, non si disturbi. Tanto è questione di pochi minuti. Grazie comunque.”
Mentre la giovane si allontanava, diede una rapida occhiata al corridoio. Un lungo tappeto portava fino alle scale. Sulla sinistra, pochi metri più in là, la porta aperta della cucina. Odore di arrosto. Sicuramente ci saranno state anche le patate al forno. Come le faceva buone sua moglie. Alle pareti un paio di quadri di discreta fattura, qualche foto e un diploma di laurea. Nel complesso sembrava tutto molto sobrio. Dalla porta della cucina uscì un uomo ben vestito, sulla cinquantina, e si diresse con fare perplesso verso il vecchio.
“Il signor Karl, presumo. Mi scuso anche con lei per il momento poco indicato. Purtroppo non potevo proprio rimandare la visita. Le ruberò solo qualche minuto, le assicuro.”
Karl lo osservò attentamente.
“Ci conosciamo? Come sa il mio nome?”
“Ci siamo visti una sola volta”, rispose il vecchio, “parecchi anni fa.”
Karl corrugò la fronte, nel tentativo di ricordare.
“Era una questione inerente il lavoro? E’ qui per qualche spesa non pagata? Guardi, se c’è qualche problema di debiti…”
Il vecchio mosse in senso di diniego la mano destra.
“No, no, signor Karl. Non sono qui per soldi, glielo posso assicurare. E non ci siamo incontrati per lavoro.”
Si interruppe brevemente.
“Ci siamo conosciuti in ospedale. Ricorda? Al Green Hospital, pressapoco 30 anni fa. Anzi, per la precisione, 29 anni, 364 giorni e 22 ore fa, minuto più, minuto meno.”
Karl ci mise qualche secondo prima di afferrare completamente le parole del vecchio.
“In ospedale? Ma lei come fa a sapere… E’ passato molto tempo, troppo. Non ricordo bene…”
Il vecchio rimase impassibile, si aspettava una simile risposta. Fanno tutti cosi, pensò.
“Si sforzi, signor Karl, e vedrà che si ricorderà di me. Di quando sono entrato nella sua camera, nel reparto di terapia intensiva. Di quando ha firmato il contratto.”
Karl rimase ancora per qualche secondo pensieroso, poi sgranò gli occhi. I ricordi cominciavano a ritornare. L’incidente automobilistico, e il suo ricovero in ospedale. L’operazione. Lo spostamento nel reparto di terapia intensiva. La disperazione dei suoi genitori, in seguito al peggioramento delle condizioni. E una strana visita, quella notte. Quel signore distinto, con il cappello e il portadocumenti.
“Lei…”
Il vecchio gli fece un sorriso.
“Vedo che comincia a ricordare.”
Karl, con sguardo incredulo, lo fissava.
“Non può essere… Lei non può essere vero. Non era vero nemmeno allora.”
Il vecchio continuò a sorridere.
“Mi dispiace contraddirla, signor Karl, ma sono proprio io. Come può ben vedere, del resto.”
Una voce dalla porta del soggiorno li interruppe.
“Karl, è tutto a posto?” La donna li guardava con espressione lievemente preoccupata. Il vecchio le fece un piccolo inchino.
“Buonasera signora.”
Karl si girò leggermente verso di lei.
“Tutto bene, cara, torna pure a tavola con i nostri ospiti. Vi raggiungo tra breve.”
La donna, perplessa, non si mosse.
“Chi è il signore?”
Il vecchio anticipò la risposta di Karl.
“Piacere di conoscerla. Sono un vecchio conoscente di suo marito. Mi dispiace molto avervi interrotto in una serata simile. Ma le assicuro che approfitterò del vostro tempo ancora per pochi minuti.”
Karl si avvicinò alla donna, cercando di nascondere la sua irrequietezza.
“Non ti preoccupare, va tutto bene. Dai, torna di là, vi raggiungo fra poco.”
La donna lo osservò attentamente, poi gli parlò a bassa voce.
“Sei strano. Sei sicuro che non ci siano problemi?”
Karl le diede un bacio in fronte.
“Certo. Tutto bene.”
La donna si allontanò, lanciando un ultimo sguardo interrogativo verso il vecchio, che ricambiò con un cenno della testa. Karl si riavvicinò, senza dire nulla.
“Lei… lei non è cambiato. E’ rimasto uguale a 30 anni fa. Come è possibile?”
Il vecchio sospirò leggermente.
“Signor Karl, ho poco tempo a mia disposizione, e non voglio portarne via altro a lei e ai suoi familiari. Quindi verrei subito al dunque.”
Aprì il portadocumenti, molto consumato. Estrasse un foglio leggermente ingiallito. Lo lesse tra sè e sè velocemente, poi lo girò verso Karl.
“Ecco qua. Questo è il contratto firmato da lei 30 anni or sono. Riconosce la sua firma?”
Karl osservò immobile il foglio di carta che aveva davanti. Non poteva credere a quello che gli stava succedendo. Lo lesse lentamente, a bassa voce. Le parole scritte gli tornarono in mente come se provenissero da un sogno. Un sogno che forse si stava trasformando in un incubo.
“Firmando questo contratto mi sarà garantita la guarigione e un buono stato di salute per molti anni a venire. In cambio, accetto di donare la mia anima nel momento in cui mi verrà richiesta.”
Poche parole. In fondo al foglio la sua firma. Ricordò di averla fatta con mano tremante, a causa della febbre che lo attanagliava da giorni. Poi quella macchia di sangue, prelevata abilmente dal vecchio con una piccola puntura su un dito, effettuata grazie ad uno spillo. Per sugellare il contratto, gli aveva detto.
“Ma è tutto vero?”
Il vecchio lo guardò serio. Il sorriso era svanito dal suo volto.
“E’ tutto vero, signor Karl. Sono venuto ad avvisarla che il tempo a sua disposizione sta per scadere. Presto tornerò per prendere ciò che è stato pattuito.”
La voce del vecchio era glaciale, senza una minima esitazione. Karl cominciò a tremare leggermente.
“Quando?”
Il vecchio guardò il contratto, poi l’orologio. Sembrò fare un calcolo mentale.
“Avrà tempo a sufficienza per salutare i suoi cari. Ma le consiglio di cominciare a prepararsi, a chiudere conti in sospeso.”
Karl ora tremava visibilmente.
“E se io non volessi?”
Il vecchio, impassibile, rimise il foglio nel portadocumenti. Poi indossò il cappello. Peccato, pensò, sembrava diverso dagli altri. Sempre la stessa storia.
“Se non volessi rispettare il contratto?” disse Karl, con voce tremante.
“La persona per cui lavoro non è una a cui piace sentirsi dire di no.”, rispose il vecchio. “E poi, si ricordi che è stato lei a firmare il contratto. E ha avuto esattamente quello che ha chiesto.”
Il vecchio si girò per andare verso la porta. Karl, lo afferrò per una spalla.
“Aspetti, non se ne può andare cosi. Io non avevo scelta. Ho dovuto firmare. Non volevo morire.”
“Una scelta l’aveva, invece,” ribattè il vecchio “ma non è stato abbastanza coraggioso da seguirla. Ora, sia gentile, mi lasci la spalla”.
Karl mollò la presa, sentendosi mancare le forze. Il vecchio aprì la porta. Una ventata d’aria gelida lo investì. Si strinse nel cappotto, poi si girò verso Karl.
“Per quanto possa suonare bizzarro in una situazione come questa, faccio a lei e alla sua famiglia i migliori auguri. Buona serata.”
Karl non rispose, fissandolo inebetito. Il vecchio chiuse la porta dietro di sè, ed uscì dal cancello. La neve cadeva più fitta. Riaprì il portadocumenti. Sulla pagina c’erano una serie di nomi e indirizzi. In alto, al centro, in bella calligrafia era indicato il giorno: 24 dicembre. Aggiunse una x sull’ultima riga, poi richiuse il portadocumenti. Un’altra giornata di lavoro è terminata, pensò. Poi prese a camminare lentamente, nella neve.

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